
La Siria al 2 novembre 2016. Ricostruzione di Agathocle de Syracuse. Possibilità di consultare la mappa attualizzata a questo link.
Già dai tempi della prima guerra del Golfo combattuta contro l’Iraq di Saddam Hussein, quella che viene comunemente riferita come una no-fly zone è, piuttosto, un’operazione di conquista in più fasi. Preliminarmente, un numero imprecisato ma opportuno di missili da crociera colpiscono le difese aeree nemiche. Dopodiché, una serie di bombardamenti più o meno mirati vengono lanciati per interrompere la catena di comando e di controllo delle forze nemiche che vedono quasi contemporaneamente distrutte le proprie basi aeree con i velivoli ancora a terra. Quindi segue una vera e propria campagna di bombardamenti durante la quale aerei d’attacco (multiruolo) e più tradizionali (caccia-)bombardieri prendono di mira le forze nemiche residue e le infrastrutture civili in modo da paralizzare nell’immediato la vita delle città. A questo punto, l’invasione di terra può cominciare, non si fa tanto per dire, sotto un cielo propizio.
L’attacco alle posizioni dell’esercito arabo siriano (SAA) a Deir ez-Zor in settembre, che secondo quanto riportato dal main stream dell’informazione sarebbe avvenuto per “errore” con tanto di “scuse” da parte di Samantha Power ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’ONU (CNN-1), ha mostrato quale sia il reale interesse per l’istaurazione di una no-fly zone in Siria. Infatti, dopo soli 7 minuti dall’attacco, avvenuto sempre presumibilmente per errore (MOA-1, AA-1), le forze dell’ISIS hanno immediatamente dato inizio ad una operazione ben coordinata contro le forze del SAA che, nonostante le ingenti perdite (circa 200 tra morti e feriti), ancora tentavano di tenere la posizione strategica del rilievo di al-Tharda che protegge il fianco della base aerea che dal 2011 resiste completamente isolata via terra. Un’oasi siriana in un oceano jihadista: colpito !
Instaurare, quindi, una no-fly zone significa dare il segnale di assalto a un paese “nemico”, appunto la Siria, che diversamente quanto hanno potuto vantare altri stati, può contare su un alleato fedele e di lunga data come la Russia. In Siria, le forze della Federazione Russa operano ufficialmente in due basi: l’una è l’ex centro logistico di Tartus dove, fino a qualche mese fa, operava prevalentemente personale civile e che recentemente è stata convertita nell’unica base navale permanente all’estero della Marina Russa (SN-1). L’altra infrastruttura militare di cui dispone la Russia su suolo siriano è la base aerea di Khmeimim (o Hmeimim) ancora nella regione di Latakia, punto di partenza dei raid diretti alle formazioni jihadiste e dei ribelli “moderati” (ufficialmente sostenuti, addestrati ed equipaggiati dal Pentagono, WP-1 and CV4A-1). Come è possibile quindi fare guerra alla Siria senza attaccare le basi russe?
Interrogato dal Sen. R.Wicker, un hillariano convinto della media ora, alcuni giorni addietro il generale americano J. Dunford chiariva che per controllare lo spazio aereo siriano bisognerebbe scendere in guerra con la Russia (RT-1), ma questo comporterebbe delle scelte che lui “non vuole prendere”. Verrebbe da ricordare che a Deir ez-Zor, quella scelta era stata fatta contro l’esercito siriano proprio dagli alti ottoni. E’ vanto di ogni buon generale, scegliere con cura il proprio nemico.
Nell’immaginario del Pentagono, comunque, andare in guerra contro la Russia in Siria non equivarrebbe a scendere in guerra con “i Rossi” nella loro totalità (CP-1). Bisogna ammettere che forse questo è, o meglio, potrebbe essere possibile. Dalle dichiarazioni raccolte si capisce che l’alto comando USA non si aspetta che la Russia risponda in modo generalizzato al bombardamento di una sua base su territorio straniero. Al Pentagono ci si aspetta, o almeno si spera, che la Russia sia condiscendente, quasi comprenda di “averla fatta grossa” e decida di fare un passo indietro e non consideri neanche di fare passi ulteriori verso l’escalation del conflitto che già è in essere per delega ma i cui sviluppi potrebbero portare a scontri ben più diretti e, si potrebbe aggiungere, di possibile illimitata pena per tutti.
Dal punto di vista della Russia, con una catena gerarchica solida, estremamente professionale in ogni suo anello, forse troppo umana (che sia questo a dare fiducia agli ufficiali del Pentagono?), il Presidente Putin con il Governo, il Parlamento e il Popolo Russo stesso sanno che l’alternativa al non rispondere ad una azione militare diretta sarebbe interpretata come una resa incondizionata. Tutti in Russia sono consci che questo è un segnale che la Russia non può dare. Ma le risposte potrebbero non avere un contenuto scontato.
Negli ultimi anni abbiamo avuto più volte dimostrazione della calma olimpica che la Russia mette in ogni sua mossa: quando la mossa seguente sembra certa e scontata, la diplomazia, i militari e l’establishment nella sua interezza, producono una risposta inaspettata. Questo rende la risposta deflagrante, inarrestabile. Per cui, i Russi, consci dell’importanza di diminuire la pressione sull’avversario per non esasperarlo e portarlo ad un suicidio che significherebbe l’annientamento della razza umana, forte della propria disciplina, potrebbe optare verso una serie di risposte limitate… proprio come sperano al Pentagono. I buoni generali sanno scegliere con cura i propri nemici. In pratica, gli USA sperano nel buonsenso russo, proprio perché loro ne sono privi.
Ma tutto questo continua a dipendere dall’entità del blitz in esame e dalle perdite (soprattutto umane) all’indomani della stessa. Proprio una eventuale azione a sorpresa contro le forze russe per mettere in condizioni di non operare la base aerea di Khmeimim bombardandone la pista di decollo potrebbe rappresentare l’opzione ideale e innescare una probabile reazione limitata da parte dei Russi.
Un tale scenario rappresenterebbe l’uscita dal tunnel dell’impero in decadenza USA (e della condanna perpetua a “consumatori privilegiati” dei paesi europei) che dopo 25 anni di attrazione unipolare irresistibile ha cominciato a collassare con accelerazione crescente. Allora, sarebbe certamente possibile dare inizio ad una guerra prolungata a bassa intensità che porterebbe giovamento al comparto USA degli armamenti, e più in generale a tutta la sua economia che si basa principalmente sullo stato di guerra (anche dei propri “Alleati”) e ciò aiuterebbe a giustificare la ricostituzione di una nuova Cortina di Ferro tra il blocco orientale (oramai molto orientale) e quello occidentale-fino-ai-confini-con-la-Russia. La nuova cortina non sarebbe certo rivolta a dividere i popoli, perché questi sono oramai consumatori globali, ma a permettere alle aziende americane di avere delle exclavi commerciali libere da eventuali competitors fuori dagli USA proprio in Europa.
Tuttavia, in Siria la minaccia più temibile per gli USA/Alleati, è rappresentato dal sistema russo integrato antiaereo/antimissile a medio-lungo raggio che, di fatto, nega l’accesso ai velivoli occidentali. Esiste quindi la possibilità che l’azione da intraprendere e la conseguente risposta russa non siano affatto di trascurabile entità. La base aerea di Khmeimim (e conseguentemente quella della marina a Tartus) è protetta da un complesso e molto efficiente sistema di difesa stratificato basato sulla differenziazione delle minacce e la risposta proporzionale. Motivo per cui sono presenti e operativi sistemi Pantsir-S1 (SS-22 Greyhound) a corto raggio che forniscono potere di fuoco contro ogni tipo di attacco da terra e limitata difesa dall’aria. L’Osa-AKM (SA-8 Gecko), il S-125 Pechora-2M (SA-3 Goa) e il Buk-M2E (SA-17 Grizzly) che provvedono a una generalizzata protezione con missili terra-aria a medio raggio (forse il sistema Buk è addirittura il Buk-M3, soprannominato dalla NATO beech). Quindi, l’S-200VE Vega (SA-5 Gammon) e l’S-400 Triumph che rende virtualmente impenetrabile la base da minacce anche “invisibili” (o sarebbe meglio specificare a bassa osservabilità, vedi F-22 e F-35, per varie ragioni non il B-2). Da tempo poi è già operativo il sistema S-300FM Fort-M (SA-N-20) terra-aria operato sugli incrociatori Moskva and Varyag che si si trovano vicino alla costa siriana e a cui, ultimamente, è stato affiancato il sistema da medio-lungo raggio S-300VM4 (a terra). Questi sistemi proteggono la base fino ad una distanza di 400-600 km (anche di più in verità) da ogni tipo di attacco aereo/missilistico/balistico anche in presenza di decine di eventuali attaccanti. In verità, basandosi sulla disposizione delle forze nel quadrante, si potrebbe concludere che lo spazio aereo siriano è negato fino a qualche centinaio di velivoli e/o missili. Infine il sistema Krasukha-4 da guerra elettronica completa la difesa da terra schermando i sistemi da un eventuale attacco tecnologico-cibernetico e/o elettromagnetico. A questi vanno poi aggiunti i sistemi in volo che forniscono ridondanza e, in molti casi, migliore precisione e raggio d’azione.
Appare chiaro quindi che, un’eventuale azione, anche “a sorpresa”, non potrebbe essere limitata alla pista di decollo ma dovrebbe includere anche le difese aeree presenti in loco e questo produrrebbe quasi sicuramente conseguenti perdite umane da parte dei russi e, come effetto diretto e spiacevole, la pianificazione di una ritorsione ben più massiccia. Ammesso poi che l’azione a sorpresa riuscisse (e ciò può essere ritenuto altamente improbabile) e che si riuscisse a non procurare perdite in vite umane durante l’attacco alle basi, sfortunatamente per il comando USA vicino a Khmeimim esistono sistemi avanzati simili a quelli eventualmente distrutti che negherebbero l’accesso ai cieli siriani a ogni velivolo non autorizzato. Tali sistemi si troverebbero appunto nella base di Tartus e anche al largo di Latakia sulle navi da guerra della Marina Russa (che di fatto ne possiede i modelli più avanzati e più efficaci). Bombardare la flotta russa poi, risulterebbe, anche legalmente, un atto di aggressione chiaro ed inequivocabile. Per non parlare del fatto che questo aprirebbe anche il campo ad una ritorsione russa praticamente illimitata verso le navi avversarie e sulle basi USA (almeno) lungo tutti i confini della Federazione Russa. Anche recentemente, i fatti hanno dimostrato che allo stato attuale la capacità russa di rendere inservibili le navi della flotta USA è tecnologicamente ineguagliata (VN-1 e AT-1).
Chiaramente a questo punto, diventa fondamentale capire fino a che punto siano pronti a spingersi i giocatori e quanto siano disposti a mettere sul tavolo. Lo scenario è ancora liquido ma fluisce in una ben determinata direzione che è chiaramente a favore dei Russi ma che però può cambiare repentinamente, forse anche per mancanza di volontà o “eccesso” di buon senso che servirebbe, forse, solo a nascondere un eventuale bluff americano dietro un paravento di pazzia (neocon?).
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